sabato 13 agosto 2011

LO STRIZZACAPELLI - Kiki Bobò -




Amici e amiche. Lasciate che sottoponga alla vostra attenzione questo oggetto di incredibile utilità e valore umano, di autocura e di liberazione interiore. Questo oggetto non è stato registrato all'ufficio brevetti, perchè all'ufficio brevetti si brevettano sì le invenzioni, ma solo quelle di pratica utilità. Qui invece siamo di fronte alla sfera del sublime e del subliminale, dell'intimismo, della ricerca intrapsichica! Ma che dico ricerca, qui è già stata trovata la soluzione, vediamo cosa. E' molto semplice: vi sentite talvolta affranti, appesantiti da pensieri che vi danno il tormento, e che sembra non vogliano mai liberare la vostra testa? E' già capitato di provare la sensazione come se il cervello pendesse più da un lato? Avete delle idee molto ingombranti, vorreste liberarvi da alcune di esse, ma non credete al fatto che potreste trovare giovamento da una seduta dallo strizzacervelli, oppure ci credete ma pensate nel contempo al vostro portafogli che si sente peggio di voi?
Qui di seguito troverete una valida alternativa alle sedute da seduti, che si realizza in piedi, mentre fate jogging, mentre lavorate, o quando siete in siesta. La tesi da me proposta è suffragata da casi clinici, che qui riporto mediante immagini; consiste nello strizzare i vostri capelli, che sono ancorati al cuoio capelluto, che è ancorato alla calotta cranica, che comunica con la corteccia cerebrale, che è attaccata al cervello!
Siete sognatori e poco pratici? Fate un raccolto a sinistra, alleggerite di eccesso di creatività l'emisfero deputato alla fantasia. Se il problema è l'opposto, e siete troppo razionali, stimolate la parte destra, strizzando i capelli ben bene.
Avete problemi con entrambe le sfere, diciamo così? Due belle belle trecce strette strette. I capelli faranno cadere giù gli eccessi di idee e convinzioni.
Pensieri grevi, pesanti? Cercate di tendere a immagini più nobili, a pensieri elevati, annodate i capelli verso l'alto, meglio se raggruppati in piccoli ciuffi
Al lavoro un piccolo raccolto sopra la nuca coniuga polso e razionalità con animismo e visione cosmica.
Gli individui flower power e peace and love si tengano ancorati alla terra mantenendo una visione pratica della vita con un raccolto basso basso.
I quasi calvi, o i "riportati", usino qualche cautela in più, vedano dove sia il caso di lavorare, ma non si sentano esclusi dal poter giovare di questo metodo.
Per le ricce come me, haimè, gli strizzacapelli servono solo per mettere un po' d'ordine, perchè i pensieri e le idee si nascondono facilmente fra i trucioli.
Ma il metodo è testato, non invento niente, amici e amiche, non ci sono forse centinaia di sensori e di piccoli capelli SULLE ORECCHIE DEL MIO CANE ??




FIORDILATTE & SODA (CAUSTICA) -Kiki Bobò -



Lo dicono tutti, la vita è dura. Ma a me tutto sommato, piace godermela, e mi arrangio come posso. Certo, i miei sacrifici li faccio anch'io, per esempio, la mattina devo uscire di casa molto presto per riuscire a sfilare dal pacco di quaotidiani lasciati davanti al bar, la mia copia fresca fresca, prima che arrivi ad aprire il proprietario. Quindi arrivo in largo anticipo al lavoro, e non avendo di meglio da fare, utilizzo il ferro da uncinetto sottratto un giorno al parco alla mia vicina di panchina, per scassinare la macchinetta del caffè, riempirmi le tasche di moneta, e poi, in successione, riscaldarmi con un cappucciocc, una brioche con confettura alle amarene, tè con tarallucci, caffè corto, e una barretta di cioccolato per metà mattina.
Quando giunge l'ora del timbro, se i colleghi arrivano in massa, certe volte per scaglionare le entrate (non mi piace la ressa), inavvertitamente verso della colla liquida nello spazio della timbratura, di modo che con un po' di disguido, la folla entri al lavoro per lo meno quando io mi sono già sistemato.
All'ora della pausa, visti gli sguardi sospetti del mio collega quando consumo merende e merendine, preferisco rimanere solo in ufficio, allora con il mio ferretto da calza manometto la fotocopiatrice, uno scherzo da poco, s'intende, risolvibile in quindici minuti, tempo della pausa del mio collega, responsabile della fotocopiatrice.
La pausa pranzo amo condividerla ogni giorno con quelli che lavorano con me (a rotazione), e che in fondo sono quasi sempre gentili, tanto da pagarmi il conto, quando imbarazzato alla cassa apro il portafoglio ma ho sempre guardacaso una banconota in meno, e non posso pagare la mia cifra. In effetti, non consumo molto, e mi arredo la casa piano piano con i premi a punti del supermercato: con un po' di attenzione individuo un single un po' svampito, oppure una contessa di alto lignaggio, li seguo alla cassa, mi ci metto dietro, e al momento di pagare, quando ricevo i millecinquecentomilabollini, aspetto la domanda giusta:"A me non servono, li vuole lei?". Ringrazio, e sorrido per educazione. Ma devo dire che a volte  a quella contessa e a quello svampito darei una spinta, quando flemmatici e indecisi mi costringono a fare su e giù per il supermercato!
C'è una cosa che adoro: andare al parco.
Ci sono due cose che detesto: i vigili, e i proprietari dei cani. Individuati gli uni e gli altri, li tengo insieme occupati e fuori dalla mia vista con una semplice scorciatoia: mi reco dal vigile, e con aria compunta e contrita, riporto il fatto.
 "Mi scusi, agente, non se ne può più, quei cani laggiù, li vede? Ecco, hanno fatto, come dire, i bisognini, che poi chissà cosa gli danno da mangiare, oggigiorno sono diventate, mi permetta, delle gran cagate, e i loro padroni le lasciano lì !! No, ho visto bene, vada a controllare di persona, sono lì nell'erba, vada, si, grazie, ma no, ci mancherebbe, se si può aiutare a mantenere l'ordine...".
E fatto il mio dovere, e libero da impicci ed impiccioni, mi siedo a un tavolo del mio bar preferito, quello col gazebo e le palme, mi immagino in vacanza, e ordino il mio solito: "Un fiordilatte e una Soda!".

L'APPENDIPENSIERI - Kiki Bobò -



Fu mentre preparavo una tavola da disegno per il mio esame finale di terza media, la riproduzione di un quadro di Giuseppe Pellizza da Volpedo, che mi accorsi che i pensieri si sciolgono nei tessuti come la neve al sole.
Disegnavo i "Panni al sole" con la tecnica del divisionismo e, puntino dopo puntino, mentre le figure dei panni si disegnavano, i miei pensieri lentamente lasciavano la testa, e si appendevano anch'essi al filo, a prendere aria e luce.
Finita l'opera, quella sottile, balsamica sensazione svanì, così come misteriosamente si era creata. Provai a disegnare per diletto. Puntinai case, volti, paesaggi, ma erano solo puntini e poi figure. Dunque, non era quello il punto. La connessione con i pensieri erano i panni e gli appendini. E quando lo capii, molto tempo dopo, quando le mie mani adulte non sapevano più disegnare, e la miopia non mi avrebbe permesso di arrivare a mettere insieme una figura composta anche solo da dieci puntini, cominciai a cercare una fibra, su cui poter imprimere i pensieri, e poi stenderli al sole.
Mi laureai in chimica, lavorai con le fibre tessili, da quelle antiche alle più moderne. Passai mesi nella Foresta Amazzonica, per apprendere dall'immenso polmone verde il segreto della fotosintesi. Mi trasferii da un resort a una capanna, ospite della tribù Pachoco. Le donne Pachoche creavano una immensa quantità di oggetti commestibili e di uso comune, impastando le fibre della corteccia d'albero, di sudori dei bruchi, le polverine delle lucciole e i loro propri sputazzi in varie terrine. Cominciai a farlo anch'io, e impasta e intreccia, e rammollisci e fai seccare, ecco che uscì la mia fibra. Grezza e pesante, di un colore mezzo di terra e mezzo di fuoco. Dovetti unire insieme cinque spine di istrice argentata per fare un ago che potesse trapassarla. Ma un giorno. Un panno di quel tessuto, passato sulla fronte per darmi refrgerio in una giornata di tremendo calore, poi bagnato e messo steso. Ritornò quell'antica sensazione quasi dimenticata. La stoffa appesa lentamente si sfibrava, disfaceva, prendeva colore proprio mentre i fili si separavano dalla forma.
E così, insieme i miei pensieri si staccavano dalla mente, e prendevano aria, e poi volavano appesi ognuno ad un solo filo, nitidi, nel vento.

giovedì 11 agosto 2011

LABIRINTO LABILE -Kiki Bobò-



Dunque, ci provo. Girare a destra e poi a sinistra, proseguire dritto. Rivedere i passi. O non si torna mai sui propri passi?
Uso un sistema di misurazione della vita spannometrico, andrà bene con la lunghezza delle mie scarpe di tela?
Mi imbattei in un vicolo cieco - come nei film, sbarrato da bidoni della spazzatura.
Le curve sono ad angolo, i miei fianchi sono larghi e mi ci incastro. Torna indietro. Ti sei persa.
Ma ho sempre desiderato perdermi. Per qualcuno, in uno spazio arieggiato, dentro le pagine di un bel libro, certe volte tra i volti della gente, per non farmi riconoscere. Da chi?
Dalla mia strada. Ma sei tu che cerchi lei!
E questo sarebbe il modo per trovarla? Arrancare in un labirinto? PRECISAMENTE.
Ma ho anche le fiacche ai piedi, disturbi di equilibrio, non so capire le bussole, non ho molliche di pane da lasciare per ritrovare la via, che non è più ritorno nè arrivo. E' solo un percorso.
E' proprio qui che sto. Qui dentro, intorno, al centro del percorso, che non ha centro. solo trame, trame di labirinto. Le destre e le sinistre, i poli terrestri, sono convenzioni scivolate via dalle mie tasche.
Sono così indecisa.
No, ho deciso. Io resto qui. Insieme al percorso, oltre che dentro.
Che sia la meta, a trovare me, eh, e che è.
Non mi ricordo più bene, però: era la meta, o la metà?

METAMORFOSI DI UNA MACCHIA -Kiki Bobò-



Nacqui come una specie di sputo, da un errore di un asino scolastico. Una enorme macchia di inchiostro nero, su un foglio a righe di terza elementare, colata da una stilografica Pelikan, messa in mano a un bambino che probabilmente non sapeva usare nemmeno la matita.
Per tentare di rimediare al fattaccio, il bambino mi impiastrò ancora peggio sul foglio, così che io mi allargai, mi sfumai, e acquisii numerose appendici. Il quaderno sul quale mi trovavo finì a casa della maestra del bambino, per la correzione dei compiti. la maestra aveva un figlio adolescente, che accorse a vedermi quando sentì la madre urlare di terrore, e si mise a ridere, ma la madre-maestra lo sgridò. Il ragazzo si offese, e di nascosto prese il quaderno, mi trovò, e mi disegnò sopra; così diventai uno scarafaggio. Ero molto brutta, ma almeno avevo una forma.
Quando il bambino tornò in possesso del quaderno, più che rimanerci male per il 4 scritto in rosso che dominava il fondo della pagina, si stupì di me che ero diventata scarafaggio, e corse dal padre per mostrarmi, e disse che il suo quaderno era magico, perchè trasformava le cose. Il papà del bambino disse "si, si", ma si vedeva che pensava ad altro. La sera frugò nello zaino del figlio e prese il quaderno, riflettè sul fatto che quella forma di scarafaggio altro non era che la rielaborazione in chiave avvenieristica della città di Turlù, e che lui l'avrebbe perfezionata. Il padre del bambino era un topografo.
Finii così con tutta la pagina, compreso il 4, dentro un file di computer. Ero dimagrita e stilizzata, ora piatta, ora in tre o più dimensioni. C'era anche il 4 che serviva a far capire che Turlù aveva 4 entrate e 4 uscite. Dunque, ero una città.
Partecipai ad una grande mostra sull'urbanistica, occupavo una mezza parete ed ero sottovetro. Passò di lì anche un architetto artista, che disse che era della città di Gilbrao, in Brasile, e che Turlù era gemellata con Gilbrao, e che per renderle omaggio avrebbe realizzato una scultura a forma di città di Turlù, da esporre al centro di una piazza della città di Gilbrao. Finì che mi trasferii in Brasile, da carta a file, passai ad essere di resina e cristallo. Si stava bene, ma a stare sempre fermi al centro della piazza, un caldo. Conobbi molta gente. Certo, tutte amicizie di passaggio, forse perchè dopotutto la straniera ero io. Finchè un giorno successe che una ragazza mi rimase a lungo seduta accanto, mi guardava e sorrideva, sorrideva e mi guardava, poi si chinava sul suo notes e disegnava. Ad una certa ora la raggiunse un ragazzo, e cominciarono a parlare.
"Questo mondo così dolce" -la sentii dire- "questo posto così bello, e guarda quest'opera, che connubio tra terra e cielo, che appendici eteree tendono all'infinito! Una forma familiare, sono lontana, eppure mi sento a casa: Forse è perchè tu sei qui con me". E si baciarono.
Comunque, finii ricopiata sul suo block notes, con un tratto sottile e armonico, finalmente mi vidi pervasa dalla grazia femminile. Ma mi sentivo molto stanca.
Non potete capire il mio stupore, quando tempo dopo mi ritrovai in un laboratorio di Turlù! La simpatica ragazza era un ottico, si innamorò di me perchè le ricordavo il suo paese, e perchè sotto di me si baciò col suo ragazzo. Decise che non importava che forma avessi, perchè si vuol bene ovunque, e attraverso qualsiasi forma.
Mi creò intorno un caleidoscopio, per lasciarmi trasformare, cambiare forma, dimensione e colore.
Solo una cosa non cambiò in me: il mio affetto per lei.





Leaved:
20/08  Villa Geno Como

mercoledì 10 agosto 2011

NON SONO DEPRESSO PERCHE' SONO RAFFREDDATO (in certi casi, meglio metterci una pietra dentro) -Kiki Bobò -



Cominciò con un disturbo, quello si. Una specie di ottundimento del sensorio, un'indolenza che si svegliava con me di mattina, e mi rimboccava le coperte di sera. Dopo alcuni giorni di tale impreciso malessere, consultai la mia tessera sanitaria dove avevo riposto l'indirizzo del mio medico di base, dal quale non ero mai stato. Decisi di recarmi da lui quel giorno stesso.
"Mi dica", mi chiese cortese. "Di cosa si tratta".
"Dottore, mi sento stanco", cominciai, "mi sveglio e mi sento intontito, qualcosa mi attanaglia la testa, al lavoro ho difficoltà a concentrarmi. Mi sembra di vivere dentro a una bolla. E poi  mi è diminuito l'appetito.".
"Al mattino peggiora?" si informò lui.
"Che dire, al mattino già mi sento male, e ancora di più al pensiero di affrontare una giornata pesante. Sa, per il mio lavoro ascolto musica, sono un fonico, arrivo ad un punto che mi esplode la testa".
"E alla sera migliora?" si interessò il dottore.
"Che dire, alla sera l'unico sollievo è il pensiero che vado a dormire. Non riesco ad assaporare gli altri piaceri della vita".
"Capisco", disse lui improvvisando un'espressione quasi greve, "io le farei fare due chiacchiere con questo medico, mi sembra la cosa più appropriata perr la sua problematica, ed è meglio non far passare molto tempo, questi sintomi non vanno presi sottogamba".
"No", dissi io, "infatti, solo che speravo che lei già mi prescrivesse qualcosa...insomma...di che si tratta?".
"Vede, il dottor Assone Alberto è uno psichiatra. Lascerei trovare a lui la combinazione più appropriata, la cura più giusta per lei..".
"Uno psichiatra? Sinceramente non pensavo...ecco...mi sento un po' preso alla sprovvista!"
"No, non si preoccupi", fece il dottore, sostituendo la sua aria greve con un'espressione quasi leggera, "deve solo ripetergli quel che ha detto a me, nè più e nè meno. Al resto penserà lui. Mi dia retta, ci vada subito.".
Così feci. Trasportato nella e dalla mia bolla, mi recai il giorno dopo dal tale Asone Alberto, psichiatra. Studio austero, mobilia in rovere, pensai che "L'urlo" di Munch appeso dietro la scrivania avrebbe potuto evitare di appenderlo.
"Mi dica, che cosa la porta da me?", mi chiese intrecciando le dita delle mani.
"mi ha consigliato di venire qua il mio medico di base, in quanto mi sento la testa pesante tutto il dì, un groppo in gola, e se possibile anche nel naso, nonostante dottore io abbia sempre goduto di ottima salute, mai un acciacco, mai un raffreddore...", e così esposi in maniera quasi romanzata i miei problemi, pensando che la differenza tra essere un paziente di medico di base e paziente di psichiatra, fosse nell'esposizione sintetica o descrittiva dei sintomi.
Lui mi ascoltò in silenzio, poi estrasse dal cassetto della scrivania un ricettario.
"Cominciamo con cinque gocce al mattino di Euphorix. Alla sera, invece, dieci gocce di Eurelass Plus Plus. Poi nel contempo prendiamo una compressa di Moral-up Fast da 10 mg, da aumentare a 20 tra 20 giorni, e a 40 tra 40 giorni.".
Stavo per chiedergli se fosse una cura da dover assumere in due, visto che usò i verbi al plurale, ma mi trattenni, e riuscii solo a dirgli "grazie dottore".
"Ci vediamo tra venti giorni", mi disse tendendomi la mano.
Mi recai immediatamente in farmacia a comprare i miei rimedi.
La sera presi la pastiglia e le 10 gocce. Dormii come un riccio. E la mattina successiva non mi alzai in tempo per il lavoro. Inoltre sentivo le fauci secche ed un impellente bisogno di "sgranchirmi" le mascelle ogni due minuti: pensai che i farmaci favorissero gli esercizi di rilassamento della muscolatura facciale. Dava fastidio, però.
Passarono i giorni, ed in effetti qualcosa successe: stanco ero stanco, ma con una voglia crescente di mordere la vita. Comprai dieci sveglie con forme e suonerie diverse, perchè per dieci giorni di fila non riuscii a svegliarmi in tempo per andare al lavoro. Ugualmente non ci sentivo bene, ma il gioco di stelline proiettato sul soffitto della camera, mi faceva ridere. Mi facevano ridere molte cose! Alla macchinetta del caffè, il collega che dopo aver infilato la moneta riceveva solo il bicchierino con il latte e niente caffè...al mercato, la borsa con la frutta che si rompe e la vecchietta che non riusciva a chinarsi..c'erano un sacco di cose simpatiche che succedevano e che mi provocavano autentici scoppi di risa. E poi le idee. Ero pieno di idee. Forse erano anche quelle di prima, ma io chiacchieravo di più, tanto , e con tutti! Se non fosse stato per quel catarro in gola, che non riuscivo ad espellere, e che mi saliva fino alle orecchie, tanto da non farmi quasi sentire i commenti alle mie esilaranti battute. Beh, la vita si illuminava ogni giorno di più, e dire che allo specchio non ero neanche quel belvedere, avevo un naso gonfio e congestionato, fluidi verdi che di tanto in tanto si riversavano all'esterno delle mie narici infiammate come crateri vulcanici, e poi la bolla nelle orecchie che mi inglobava, ma in modo soffice, quasi ovattato. In fondo non mi dispiaceva.
Dopo i primi venti giorni di cura mi ripresentai allo studio del Dottor Assone Alberto, con completo gessato giallo, cappello a falde bianco, orologio con brillantini, portafoglio di pitone collegato alla cintura abbinata da un fine laccetto in pelle. Al collo, una catenina realizzata da artigiano orafo su mio progetto; scarpe bianche come il cappello; calzini neri per staccare.
"Buongiorno, cosa mi dice", cominciò lui cordiale, "mi sembra di vederla più sollevato".
"Sollevato, certo", risposi "nella mia bolla cammino a sei metri da terra!". E scoppiai in una risata.
Continuai a parlare per settanta minuti di me, solo di me, dall'infanzia ai posteri che mi avrebbero ricordato; dei miei progetti e delle mie idee brillanti, anzi, sberluccicanti. Alla fine mi ritrovai on la voce rauca, perchè per sentirmi ero costretto ad urlare.
"Mi dica un'ultima cosa", mi interpellò il dottore, "riesce a dormire la notte?".
"Dormire? Guardi, lo faccio proprio per preservare l'integrità fisica, perchè ormai le ventiquattro ore non mi bastano per pensare. Prendo le gocce di Eurelass Plus Plus e dormo come un conoglietto, fino alle dieci-mezzogiorno".
"Molto bene", mi rassicurò il dottore, "vedo che ci siamo. Come le dicevo, porterei a 40 mg le compresse di Moral-Up Fast, per assestare la cura, poi ci rivediamo tra venti giorni. Sono 90 euro".
"Grazie dottore, eccone 100, il resto è mancia!".
"Non accetto mance,io.", disse facendosi gelido.
Ritirai il resto, in effetti lo facevo più affabile...
Passarono i giorni, tra un aperitivo in piazza, una lettura di poesie in biblioteca, partecipavo a dei dibattiti, e devo dire senza falsa modestia che commentavo di tutto, e rimanevo sempre l'ultimo in sala. A seguire, un altro aperitivo, dove conoscevo sempre gente nuova, e infine a letto dei bei sonni profondi. Un senso di pienezza mai raggiunto prima appagava la mia vita, peccato per la bolla, che non era neanche più una bolla, ma uno scafandro. Anche le tonsille erano enormi, ma non me ne curavo.
Fu una mattina verso le dieci, mentre sognavo di tenere a Varsavia una conferenza sui comò d'epoca, le sinfonie di Beethoven e i cavatappi automatici, che suonò a lungo il citofono. Si trattava del postino con una raccomandata. La aprii, era la lettera di licenziamento, da parte del mio datore di lavoro. Per reiterata e ingiustificata assenza, così c'era scritto. Dovetti respingere l'idea succulenta di come spendere i soldi della liquidazione, e mi costrinsi ad elaborare un bel discorso in mia difesa. Per qualche giorno di assenza un licenziamento? Vero era che ultimamente con i suoni facevo cilecca, ma lo sapevano loro della mia bolla, che mi costringeva a vivere nell'ottava dimensione? Forse no, ci voleva che lo spiegassi, e tutto si sarebbe risolto. Adorato ottimismo!
Presi appuntamento col mio capo, che non parve molto contento di vedermi. Tentai di scioglierlo con qualche mia battuta sagace, però lui andò dritto al fatto del licenziamento.
"Lei svolge male il suo lavoro, e quel che è peggio è che sembra disinteressarsene. Basta vedere quante volte manca al lavoro, o si presenta solo di pomeriggio, con quel sorriso strafottente, come se non sapesse che qui di fonico ce n'è uno, e che per registrare tutti aspettano lei!".
Eh no, la mia vita era allegra, chi era lui per rovinare la festa. Scommisi che provava una grande invidia. Cominciai a parlare di me, come se fossi seduto di fronte al Dottor Assone. Parlai e parlai, e vidi come in un quadro cangiante in stile cinese, cambiare colore ed espressione la faccia del capo. E quando sentii il fuoco alla gola darmi lo stop, esclamai: "Grazie per l'ascolto, le lascio 100 euro!". E mi esplose dalla gola in fiamme quella mia grossa risata, e per lo scoppio fragoroso due fiumi di muco verde colarono copiosi da entrambe le narici.
Il capo si alzò di scatto con la faccia disgustata,e lasciando l'ufficio di corsa, mi gridò: "Lei è licenziato! E veda di curarsi quel suo raffreddore!".
"Raffreddore ??".
"Scusi, come ha detto?" - mi gettai dalla sedia inseguendolo - " ha detto RAFFREDDORE?".




IL BILANCINO DI PRECISIONE - Kiki Bobò -



Sono un bilancino-ino-ino. L'oro non lo peso perchè mi frantumo di fronte al suo inespressivo bagliore. Lo  zafferano no perchè non è dello stesso giallo del sole. I batteri e i microbi no, perchè sono un bilancino schizzinoso. Il plancton, vedi sopra.
Sono uno strumento d'equilibrio e di precisione, e anche di grande portata: i quintali e le tonnellate non mi sono estranei, nonostante il mio esiguo scheletro. Ma cosa soppeso?
Metto in equilibrio quello che c'è, e che non si vede.
La gioia con la nostalgia. La rabbia e la tolleranza. La calma con l'agitazione. L'inquietudine con l'appagamento.
Se sei fortunato e vivi in maniera piena il tuo qui e ora, la nostalgia ti farà comprendere quella sfumatura del cielo che non è colore acceso, e che tu non guardi. Se la tua nostalgia è tale da lasciare la tua anima sempre sospesa, la gioia ti travolge e ti pianta a terra, a baciare il terreno sul quale cammini.
Se la rabbia ti si para davanti agli occhi, la tolleranza ti apre lo sguardo ai lati, per vedere l'Altro e anche l'Altrove. Se la tolleranza ti smorza la capacità di critica, la rabbia ti dice permesso e poi reagisce.
Se la calma rende piatti, l'agitazione provoca per lo meno varie reazioni chimiche. Se da agitato hai mosso una tempesta, con la calma raccogli i rami spezzati e i cocci rotti.
Se l'inquietudine erode le papille gustative della vita, l'appagamento sazia in tutti i sensi. Se da appagato scopri che anche il Nirvana dopo un po' è una palla, l'inquietudine è quello che ci vuole per ritrovare il sano tormento di tormentarsi (in un unico termine, haime tedesco, "Sensuct").
Sono un bilancino e sui miei piatti si posano le pietanze più strane che ci sono. Non si vedono, eppure nutrono la vita.

PALLA CRISTALLO - Kiki Bobò -



Date le mie dimensioni ridotte, preferisco che mi sfiori solo con i polpastrelli delle dita, o che mi guardi con gli occhi socchiusi o con la coda dell'occhio.
Visto che, come ho detto, sono piccola, mi riservo di mettere solo il naso dentro il futuro.. Ma chi oserebbe affermare che un naso nel futuro non è prezioso?
Posso vedere se il tuo autobus sarà in orario; in quale fila conviene che tu ti metta alla cassa del supermercato; indovino l'oroscopo del tuo segno della giornata di domani; se, quando tornerai, il tuo amore ti accoglierà con un bacio o con uno schiaffo (in tal caso, tu porgi già l'altra guancia, così ne avrai risparmiata una); posso vedere quando sarà il caso di parlare, e quando il caso di tacere; e se per caso un giorno dovrai rimanere un attimo di più lì dove sei, perchè sta per svoltare l'angolo e venirti incontro la persona di cui ti potresti innamorare: Ti svelo l'orario esatto del tramonto più bello. Ti indico il ceppo di insalata più fresca, la pesca più buona che potrai scegliere; il commercialista più onesto
 da cui ancora non sei andato, lo psicologo che ti renderà più consapevole e meno squattrinato. I jeans che porterai incollati addosso nelle tue avventure, e il vestito che svestirai, intriso delle tue emozioni.
Nel tuo vestito, mi tieni in un taschino. Ingombro così poco.
Ma usami con cura: posso ingombrare molto i tuoi pensieri.

PICCOLA LAMPADA DI ALADINO - Kiki Bobò -



Sfregami con l'unghia del dito indice, o accarezzami con un cotton fioc...attento! Così mi fai ridere, soffro il solletico! Aspetta, non riesco a uscire...Eccomi qua.
Come non mi vedi, strofinati gli occhi.
Come sarebbe ho una voce da pulce, cosa ti aspettavi, il vero genio della lampada di Aladino? Ma quello era solo il titolo, non vedi che lampada microbica mi hanno dato? Mi sono dovuto adeguare anch'io nelle dimensioni. E anche nei desideri! Ti avverto: che siano piccoli, che non percorrano lunghe distanze, e che non mi costringano a trapassare le epoche, e nemmeno le montagne!
Provaci.
Mh...mi sembra troppo difficile, restringi il campo...
Quello..? Ma ne sei sicuro? Richiede troppe ore di applicazione.
Quell'altro...? Fin lì se ti sforzi ci arrivi da solo.
Sai fare il giardiniere? Sfronda, taglia, ridimensiona.
Un po' più piccolo, un po' più corto...quasi...Ecco, ci siamo,
AI TUOI ORDINI; PADRONE MIO !

A.A.A. ADOTTANTI PER FUTURI FIORI CERCASI - Kiki Bobò -


Causa alloggio sprovvisto di verande e balconi, e presenza di animale domestico abituato a mangiare di tanto in tanto erba come digestivo, cedo, a titolo gratuito, ma non rimborsabile, gruppo di bellissimi semi di fiori, educati, un poco timidi, ma pieni di entusiasmo per il futuro; desiderosi di stabilire nuove relazioni con il genere umano; disposti all'ascolto (e anche, purchè non di abitudine, ad assorbire lacrime di sconforto).
Requisiti richiesti all'adottante:
luce interiore,
acqua in dose appropriata;
pazienza;
una sistemazione con veranda;
predisposizione al dialogo.
Tenga presente l'adottante che le stagioni si rinnovano (anche i fiori hanno i vestiti a seconda delle stagioni, e i loro pudori).
Si ricorda inoltre a chi ambisce all'incarico, che diventerà al contempo anche custode, quindi si richiede affidabilità. Durante i raptus di rabbia, i vasi non potranno essere gettati sulla testa dei vicini del balcone di sotto. Non si potranno strappare foglioline per metterle sul piatto di spaghetti della suocera, spacciandole per basilico. Non si potrà fare pipì dentro al vaso con la terra, neanche di notte durante un momento di sonnambulismo.
E infine, un'accortezza: i fiori sono sensibili; effettuare la potatura solo quando dormono. Come i bambini, non amano farsi tagliare i capelli.




Leaved:
4/8 giardini lago Como
14/8 libreria Como

lunedì 1 agosto 2011

IL BANDOLO DELLA MATASSA -Kiki Bobò-



Ah. Ah. Ah. Cercasi. Persona disposta, a titolo gratuito, a sciogliere il bandolo della matassa della mia vita, possibilmente in tempo breve. La questione è complicata, perchè sono anni che ci provo, ed è solo adesso che mi è venuto in mente di fare un bando sul bandolo. Nel frattempo la matassa si è aggrovigliata, quindi si tratterebbe proprio di sbandolare la matassa, o, al limite, di smatassare il bandolo, forse fa lo stesso. In mezzo, quello che ci sta sono: le idee confuse, pezzi di chewing-gum (masticato), picchi di cielo, il vento dell'Atlantico, ruminazioni mentali, il tramonto ad Istanbul, una macchina lomografica, il partire e il tornare, i capelli ricci, ciabatte infradito gialle, il sentimento del perdersi, le emozioni della pancia, fogli, ciglia, banane e curiosità.
Ecco che al centro di tutto, come si dice sempre, si trova il "se stessi". Ma io queste persone, gli stessi, francamente non le conosco. Anzi, pensandoci bene, mi dà anche fastidio che si siano messe proprio lì, nel posto più comodo, al centro della mia matassa. la rivoglio, intera o sfilacciata...
Ah.Ah.Ah. Cercasi matassa. Con o senza bandolo.   Olè.



Leaved:
30/7 oasi bassone Como
4/8 giardini lago Como
14/8 Libreria Como

CANTIERE CILINDRO -Kiki Bobò-





Disegna un'architrave.
Progetta un orpello.
Inventa un pertugio.
Estendi la linea dell'orizzonte.
Confina in una diga l'ingiustizia.
Sfuma l'amore posessivo.
Disegna alberi di banane nei giardini e grossi baobab nelle strade ad alta percorrenza.
Incipria le gote delle donne vecchie e tira su gli angoli della bocca ai vecchi.
Progetta un nuovo strumento musicale.
Disegna degli occhiali per gli ottusi.
Due o tre vie di uscita.
Tanti chicci di riso.
Degli zaffiri.
Non cancellare tutto questo.
SOSTIENI L'IMPERMANENZA.
Lascia così com'è la vita che si trasforma.



Leaved:
10/8 Giardini lago, Como
10/8 Sicilia
14/8 Liceo Volta, Como

domenica 31 luglio 2011

Da: IL BOTTONE DEL COLLETTO E LE LANCETTE DELL'OROLOGIO - Karl Valentin



Vedete, io per esempio sono anni che giro con un orologio senza lancette; ma non mi serve a niente! Certo, è sempre un orologio - non vorrete mica sostenere che è un pappagallo? Potrei portarlo dall'orologiaio, ma nel momento che lo dò all'orologiaio rimango senza orologio, perciò è senz'altro meglio avere almeno quello, anche se non funziona; tanto lo so che senza lancette non può funzionare: Cioè, funzionare potrebbe, - dentro- ma fuori non si vedrebbe, e quindi tutto l'orologio non servirebbe a niente. (...)
Io trovo che l'orologio è una cosa superflua: vedete, io abito molto vicino al municipio e tutte le mattine, quando vado in ufficio, guardo l'orologio del municipio per vedere l'ora e poi cerco di ricordarmela per tutto il giorno, così non consumo il mio orologio!
Oggigiorno gli orologi funzionano abbastanza bene, ma prima con le meridiane era una noia! Niente sole - niente ora! Allora francamente preferisco il mio senza lancette, almeno con quello non dipendo dal sole ma soltanto dalle lancette e dopotutto, quando se ne ha bisogno, le lancette si possono far riparare.
Sarebbe ben triste se non si potessse vivere senza orologio! L'orologiaio, lui sì che non può vivere senza orologio, per lui è lavoro.Credete forse che  un orologiaio, per sapere che ora è, guardi tutti i mille orologi che sono appesi nel suo negozio? Non ci pensa nemmeno, lui ne guarda soltanto uno, gli altri li vende alle persone che hanno bisogno di un orologio; tanto uno che non ha bisogno di un orologio, mica se lo compra.
Insomma, come ho già detto, non ha senso che io faccia riparare il mio orologio: poi va a finire che uno me lo ruba,e così lui si trova con l'orologio che funziona, mentre io ho girato per anni con quello rotto! Allora preferisco lasciarlo così e se poi davvero qualcuno dovese rubarmelo, peggio per lui..!



AL TEATRO DEI GIARDINIERI Karl Valentin , 1882-1948



Non so più bene se era ieri o se era su al quarto piano che sono andato con mia madre al Teatro dei Giardinieri. Avevamo due biglietti, uno l'avevo io e  l'altro lei, li abbiamo messi inieme e con quei due biglietti siamo andati a vedere uno spettacolo.
Sulle prime non avevamo quasi il coraggio di entrare perchè credevamo che al Teatro dei Giardinieri potessero andari solo i giardinieri; per prudenza abbiamo telefonato prima a un ufficio informazioni e lì ci hanno risposto: "Si.". Così per lo meno eravamo sicuri di di non eserci vestiti inutilmente, perchè svestiti a teatro non ci saremmo potuti entrare.

Appena ci siamo seduti ce n'è voluto un bel po' prima che incominciasse lo spettacolo- allora abbiamo pensato: ormai aspettiamo che cominci se vogliamo davvero vederlo, questo spettacolo, perchè era soprattutto per lo spettacolo che ci eravamo andati. Così stavamo seduti da circa mezz'ora quando tutt'a un tratto - ancora non incomincia. Insomma, ci siam detti, non paghiamo mica perchè non cominci!
A un tratto sono entrati gli orchestrali e si son seduti proprio davanti al palcoscenico, così vedevano e sentivano meglio, mentre gli altri, quelli che pagano e a teatro ci vanno massimo una volta l'anno, gli tocca starsene dietro.
Finalmente è cominciato lo spettacolo vero e proprio, a quel punto in fondo non ci interessava più molto perchè il papà ce lo aveva già raccontato a casa, però non volevamo nemmeno andarcene via subito dal momento che ci eravamo andati apposta.
Dopo il primo atto c'è stato un intervallo, durante l'intervallo non hanno recitato niente, è calato il sipario e così noi non abbiamo più visto cosa continuavano a recitare. A questo punto io e la mamma ci siam detti: possiamo salire su nel salone dei rinfreschi, perchè avevamo un gran caldo, bè, saliamo e lì non capiamo più niente, c'erano bottiglie di birra, cioccolatini, panini imbottiti e un sacco di roba del genere, mentre io e la mamma avevamo pensato che il salone dei rinfreschi fosse una specie di doccia.
Allora siamo tornati giù ai nostri posti, in platea, e durante il secondo atto ci è capitato un guaio, volevamo vedere se sul palcoscenico c'era un tappeto, così ci siamo alzati dai nostri sedili e subito da dietro ci gridano: "Seduti!", noi facciamo per risederci, ma le nostre poltrone non c'erano più, proprio in quell'attimo ci avevano rubato le poltrone.
Allora, fino alla fine dell'atto, io e la mamma non abbiamo potuto far altro che starcene giù gobbi con le ginocchia piegate, e lei non ha un'idea di come ci facevano male le gambe; solo quando è finito l'atto e in teatro si è fatta luce, anche in noi si è fatta luce e abbiamo scoperto che i sedili erano semplicemente scattati in su.
Dopo il quarto atto lo spettacolo è finito del tutto, aquel punto allora ci interessava sapere come si chiamava lo spettacolo che avevamo appena visto. Si che avevamo un programma, ma era vecchio, era un programma dello Hoftheater, del Lonhegrin, ce l'eravamo portato dietro per non doverne comprare uno al Teatro dei Giardinieri; ecco perchè non corrispondeva. infatti lo spettacolo che avevamo visto, ci ha detto il signore vicino a noi, si chiama Fratello Straubinger. Ecco perchè non avevamo visto entrare nessun cigno, invece del cigno è entrato il fratello, quel Straubinger- - Saremmo rimasti a sedere ancora un po', senonchè tutto gli altri erano già usciti, cosi abbiamo pensato: andiamocene anche noi, e siccome eravamo molto stanchi, saremmo voluti andare in automobile, dal momento che appena usciti dal teatro ne abbiamo vista una ferma, cioè per la verità ce n'erano di più, ma noi ne avremmo presa una sola, sennò non ci bastavano i soldi.
Come arriviamo all'auto l'autista ci chiede dove volevamo andare, allora non abbiamo preso l'auto perchè quel tipo era troppo curioso, e poi non ci conveniva neanche tanto andare in auto perchè abitiamo proprio di fronte al teatro.
Così siamo andati a casa e a letto, cioè veramente nel letto non ci siamo andati ma ci siamo solo saliti, perchè dalla stanza al letto non ci sono che pochi passi.
Abbiamo dormito tutta la notte e al mattino, quando ci siamo svegliati, non avevamo fatto altro che sognarci lo spettacolo, insomma ci eravamo visti tutto lo spettacolo a letto. Può immaginare che dispiacere aver speso i soldi per quei due biglietti, ma abbiamo giurato che non andremo mai più al Teatro dei Giardinieri, a meno di non esser rimasti a letto il giorno prima.




Leaved:
3/8 Museo Civico Como

giovedì 21 luglio 2011

BEVICI SOPRA, VISCOVITZ ! Alessandro Boffa,1998




"Papà, voglio smettere di bere".
"Non dire sciocchezze, Visko, sei una spugna".
"Che significa? Che dovrei stare tutta la vita appeso a questo scoglio a filtrare e vorticare acqua, come un vegetale?".
"Tu sei un vegetale, Visko, o comunque uno zoofita. Che discorsi...".
Ero disperato. Tutti i miei tentativi di costruirmi una vita natante e perseguire degli ideali fallivano. Ah, se avessi avuto dei muscoli per spingermi fino alla calcispongia che amavo e fondermi con lei in un unico sycon! Ah, se avessi avuto degli occhi per guardarla, una bocca per dirle che l'amavo!
Della mia bella conoscevo solo il profumo azotato che mi era portato dalla corrente. A quelle particelle in sospensione avevo dato una forma, dei pori e un nome: Ljuba.
L'unico modo per coronare la nostra storia d'amore sarebbe stato quello di raggiungerla con qualche spermatozoo, ma la corrente continuava a portarseli dalla parte opposta, verso mia madre,le mie sorelle, le mie nonne, creando ogni genere di imbarazzo familiare e di complicazione genealogica. La situazione era resa ancor più equivoca dai periodici cambiamenti di sesso che noi spugne ermafrodite ci dovevamo sorbire. Non era facile per me accetare il fatto che mio padre fosse la moglie di sua madre, che sua figlia, cioè mia sorella, fosse suo nonno e sua nonna fosse anche suo fratello, cioè mio zio. Quei rapporti diventavano ancora più morbosi per l'ammassamento dei corpi, era difficile capire dove finivi tu e cominciavano i parenti stretti. E non era facile sviluppare una sana personalità quando i diverticoli delle tue camere flagellate erano in comproprietà con una madre invaginante, delle sorelle incestuose e un padre bisessuale. Quando gli unici tratti anatomici su cui potevi costruire un'identità erano la cavità gastrale e il buco dell'osculo.
Il dramma di essere un vegetale era l'impossibilità di suicidarsi. Il vantaggio di essere una spugna era la possibilità di berci sopra.
Pregavo che accadesse qualcosa. Un moto tellurico, un trauma ecologico, che una seppia mi aiutasse, qualcosa. E finalmente qualcosa cambiò. La corrente. Invertì direzione e mi rese finalmente in condizione di fecondare la spugna che amavo! AH! Ero esilarato, commosso. Pensai subito di confezionare i miei spermi in gemmule e cominciare il tiro a segno.
Ma non ne trovai.
"Papà", strillai, "sono sterile!".
"Non sei sterile, Visko, sei femmina, come sono io".
Mi sentii mancare. Come si poteva avere tanta sfortuna? Femmina. E intanto Ljuba era diventata maschio e le sue eiaculazioni non potevano raggiungermi perchè ero io a trovarmi controcorrente!
Al danno si unì la beffa e cominciarono a piovermi addosso gli spermi della mamma, delle sorelle, delle nonne...
"Dannazione", imprecai, "dannazione!".
Anche mia figlia mi aveva messa incinta.
Ero la suocera di me stessa, maledizione, la suocera di me stessa!!!
Ma forse è un bene, sospirai. Chissà che così non cominci a odiare la nuora che è in me. Chissà che così la mia infelicità non mi renda finalmente felice.


Leaved:
21/7 Biblioteca Como
30/7 Oasi Bassone Como
10/8 Sicilia

mercoledì 20 luglio 2011

L' ANELLO DI BRILLANTI Karl Valentin, 1882-1948



Anche se ho fatto due anni di servizio militare, due giorni fa ho perduto il mio anello i brillanti. Non posso proprio dimenticarlo quell'anello, perchè ogni volta che guardo lì dove ho sempre guardato, , devo subito guardare da un'altra parte.  Insomma quello era un anello unico, prima di tutto per il fatto che avevo solo quello...c'era un fuoco dentro quell'anello- tanto che una volta si sono mossi persino i pompieri. Era un anello che lampeggiava come il lampo! Gli mancava soltanto il tuono a quell'anello, altrimenti era un anello da tuoni e fulmini. Una volta ci fu persino uno che mi disse: "Fulmini, che bell'anello hai! ". Come sia andata che abbia perso quest'anello, per me è ancora un mistero perchè otto giorni fa l'avevo ancora, quindi l'anello, prima di perdersi, ci ha messo nove giorni a perdersi.  Dell'anello me n'importa meno, ma cosa me ne faccio dell'astuccio di velluto azzurro che era fatto proprio su misura? Chissà se troverò un altro anello che ci stia a pennello come quello là.  Mah, pazienza, ormai se n'è andato, non c'è più niente da fare. E dire che già una volta l'avevo fatto modificare dall'orefice, l'avevo fatto allargare perchè mi cadeva sempre dal dito.  Ma l'orefice lo ha allargato tanto che che mia moglie l'avrebbe potuto portare come braccialetto.  E così si è perso un'altra volta. Vedete, io sarei riuscito ad avere indietro l'anello se avessi subito messo un annuncio sul giornale, ma ormai sono già passati otto giorni e non so più bene com'era fatto; ricordo solo che in mezzo c'era un buco dove si infilava il dito, e che era costato 50 marchi.
Dopo tutto, Dio mio, di anelli come quello ce ne sono tanti al mondo.
In fondo son proprio contento d'averlo perso,, quell'anello, sennò poteva darsi benissimo che un giorno o l'altro me l'avrebbero rubato.




E SI RITROVARONO PIETRE E BRILLANTI ...


Leaved:
27/7 Stazione Nord Borghi Como
28/7 Giardini lago Como
7/8 Porta Torre Como

lunedì 18 luglio 2011

E LEI CHE DISSE, VISKovitz ? A. Boffa, 1998



Con Ljuba fu amore a prima vista. Era la più bella pappagalla dei Caraibi. Così andai da lei senza pensarci su. Senza tanti preamboli, la guardai negli occhi e le dissi:
"Ti amo".
"Ti amo", mi rispose. Fu l'inizio di una grande pasione. Il nostro nido d'amore era la giungla intera, il folle ardore della gioventù ci bruciava sotto le penne e il cielo tutto non bastava a contenerlo. Si cantava, si ballava, ci si amava al ritmo della rumba, del mambo, della conga e del merengue. Poi un giorno mi decisi e le chiesi:
"Vuoi sposarmi?".
"Vuoi sposarmi?" ribattè.
"Certo, amore mio".
"Certo, amore mio", rispose lei.
Così costruii il più bel nido dell'arcipelago e vi trascorremmo la nostra luna di miele. Tenendola ben stretta, le dissi:
"Vorrei tanto dei piccoli".
Mi rispose che li voleva anche lei. Ne nacquero due, tesori di ragazzi, mai una parola di disaccordo, mai disobbedienti, sempre pronti a ricambiare il nostro affetto.
Che cosa si poteva desiderare di più dalla vita?
Qualche imprevisto. E così cominciai a vedere quell'altra pappagalla.  Un giorno lo confessai a Ljuba.
"Ho un'amante, le dissi".
"Ho un amante", mi rispose.
"La mia si chiama Lara", continuai.
"La mia si chiama Lara", rivelò.
Che dirvi? Ci restai di sasso. Mia moglie con la mia amante.  Detto così poteva quasi sembrare una buona notizia, ma fu presto chiaro che quel triangolo non poteva andare avanti.  Cos' andai da Lara e le dissi:
"Scegli me o lei".
"Lei!"
"Accidenti a te", le dissi.
"Accidenti a te", rimbeccò.
Ero arcistufo di esser preso in giro da quei ritornelli. Possibile che la vita seguisse trame così superficiali? Come si poteva andare avanti di quel passo? Nella disperazione decisi di chieder consiglio a una mente illuminata, un pappagallo che si era guadagnato fama di maestro di saggezza e di guida spirituale.
"Maestro", sbottai, "cosa possiamo fare  per ottenere risposte meno scontate, per sfuggire a questo tran tran, a questa mediocrità? Mi dica, maestro, cosa dobbiamo fare?".
"Fare, rispose il saggio".







  Leaved:
15/7 Stazione Nord Borghi Como
17/7 Stazione Nord Borghi Como
21/7 Villa Olmo Como
28/7 Giardini lago Como
                                                                                                                                             


giovedì 14 luglio 2011

LETTERA D'AMORE Karl Valentin , 1882-1948

      


                                      Gennaio, 33 Monaco 1925 e 1/2

Mio caro amato,
con mani piene di lacrime prendo la penna nelle mie mani e ti scrivo. Perchè da tanto tempo non mi hai più scritto, quando ancora l'altro giorno mi hai scritto che mi avresti scritto tu se non ti scrivevo io? Ieri mi ha scritto anche mio padre. Scrive di averti scritto. Ma tu non mi hai scritto una parola del fatto che lui ti ha scritto.
Se tu mi avessi scritto almeno una parola sul fatto che mio padre ti ha scritto, io avrei scritto a mio padre che  gli avresti voluto scrivere, ma che purtroppo non avevi avuto tempo di scrivergli, altrimenti gli avresti scritto.
E' una cosa ben triste questo nostro scriverci, perchè tu non hai scritto in risposta a uno solo degli scritti che io ti ho scritto. Sarebbe diverso se tu non sapessi scrivere, perchè allora io non ti scriverei affatto, tu invece sai scrivere pero' non scrivi lo stesso quando io ti scrivo.
Chiudo il mio scritto con la speranza che ora finalmente mi scriverai, altrimenti questo sarà l'ultimo scritto che ti ho scritto. se tu pero' anche questa volta non mi dovessi scrivere, scrivimi almeno che non mi vuoi scrivere affatto, così se non altro saprò perchè non mi hai scritto.
Perdona la mia brutta scrittura, mi viene sempre il crampo dello scrivano quando scrivo, a te naturalmente il crampo dello scrivano non verrà mai, perchè non scrivi mai.

                                               Saluti e baci
                                                 tua N.N.
                                                 

PUT IN THE SPACE :

15/07  stazione nord Borghi, Como
29/7    Museo Civico Como

martedì 12 luglio 2011

TRE ILLUSIONI (Franco Battiato)

Primo: il tempo non ci determina.
Secondo: lo spazio non ci colloca.
Terzo: siamo spesso in paranoia pensando di non essere creativi abbastanza per riempire il vuoto che sentiamo, le nostre mancanze.
E quarta illusione è quella che questo pacchetto di tre sostiene e intanto contiene.

lunedì 11 luglio 2011

CAMPANELLI



LASCIA ANDARE LA MALINCONIA, UN CAMPANELLO PER UN PENSIERO D'ALLEGRIA !

Put in the Praia (beach) de Porto Covo 29/06/2011

Voyage Voyage - Desireless 1987 -


Au dessus de vieux volcans
Glissant des ailes sous les tapis du vent
Voyage Voyage
Eternellement
De nuages en merecoges
De vent d'Espagne en pluie de l'Equateur
Voyage Voyage
Vol dans les hauteurs
Au d'ussus des capitales
Des idees fatales, regarde l'ocean
Voyage Voyage
Plus loin que nuit et le jour
Dans l'espace inoui de l'amour
Voyage Voyage
Sur l'eau sacrée d'un fleue indien
Voyage Voyage
Et jamais ne reviens
Sur le Gange ou l'Amazone
Chez les blocks chez les sikhs chez les jaunes
Voyage Voyage
Dans tout le royame
Sur les dunes du Sahara
Des iles Fiji au Fuji-yama
Voyage Voyage
Ne t'arrete pas
Au d'ssus des barbeles
Des coeurs bombardes
Regarde l'ocean
Voyage Voyage
Plus loin que nuit et le jour
Dans l'espace inoui de l'amour...




Leaved:

 16/05/11 giardini lago, Como Italy
 02/07/11 comboio ( train)  Lisboa-Sintra Portugal
 03/07/11 aeroporto de Lisboa Portugal
27/07/11 Stazione Nord Borghi Como
8/07/11 Biblioteca Como
02/08/11 Oasi Bassone Como
10/08/11 Sicilia

Keri Smith

Keri Smith è una Guerilla artist, nordamericana, autrice del kit che ho trovato.
Il suo sito è : www.kerismith.com
Riporto qui alcuni suoi pensieri, riguardo la sua concezione della Guerilla Art.

GUERILLA ART IS A FUN AND INSIDIOUS WAY OF SHARING YOUR VISION WITH THE WORLD. IT IS A METHOD OF ART MAKING WHICH ENTAILS LEAVING ANONYMOUS ART PIECES IN PUBLIC PLACES. IT CAN BE DONE FOR A VARIETY OF REASONS, TO MAKE A STATEMENT, TO SHARE YOUR IDEAS, TO SEND OUT GOOD KARMA, OR JUST FOR FUN. MY CURRENT FASCINATION WITH IT STEMS FROM A BELIEF IN THE IMPORTANCE OF MAKING ART WITHOUT ATTACHMENT TO THE OUTCOME. TO DO SOMETHING THAT HAS NOTHING TO DO WITH MAKING MONEY, OR LISTENING TO THE EGO.


GUERILLA ART CAN BE ANYTHING YOU WANT - AN IDEA, AN EXPRESSION, A MOVEMENT, AN EXPERIENCE, AN OUTLET, A WAY OF CONNECTING, A WAY OF DOCUMENTING, A CHALLENGE, A FORM OF PLAY, A STATEMENT, A PERFORMANCE, AN ATTITUDE, A PRACTICE, AN IMPROVISATION, A RITUAL.


NOTHING IN LIFE IS PERMANENT, THAT EVERY STATE IS TEMPORARY AND TRANSITORY.  (...)
CREATING WORK THAT IS AN IMPERMANENT HELPS US RELEASE OUR OWN ATTACHMENT TO THE FINAL PRODUCT AND LETS US FOCUS MORE ON THE PROCESS. I CHALLENGE YOU TO MAKE PIECES WITH THE IDEA OF IMERMANENCE IN MIND.

Guerilla sullo scaffale di una libreria

Copertina di cartone, disegni stampati a matita di pennelli, forbici, secchio di colla liquida, ecco il Guerilla Art Kit, che porto subito alla cassa, scordandomi di comprare il saggio sui re del Portogallo e il cd dei Temple of  Love...sottotitolo del quaderno : EVERYTHING YOU NEED TO PUT YOUR MESSAGE OUT INTO THE WORLD...
E' tutto. Poi servono fantasia, e due mani ( e il naso di Emma Lu che si ficca dentro ogni cosa che creo, ma pare le piaccia !! ). Ah, e poi serve uscire di casa, e lasciare. Avete mai provato a separarvi da qualcosa che dopotutto, bello o brutto che sia, amate ? Non è così semplice "abbandonare"  un oggetto che avete creato con le vostre mani. Eppure, lasciando si assapora questa sensazione strana, con la quale forse non si ha molta confidenza (quanto siamo attaccati alle cose! ), di leggerezza, di ignoto (qualcuno troverà qualcosa ? E che ne fara'? ). E' l'impronta nell'ambiente, e l'impermanenza. Non solo: è bello il pensiero che qualcuno trovi un messaggio, un piccolo dono. Trovare qualcosa è una sensazione piacevole. Ancora ho il ricordo delle puntate del telefilm PippiCalzelunghe, dove i gemelli mettevano la mano nel tronco d'albero nel giardino di Pippi e ci trovavano delle meraviglie...come avrei voluto essere al loro posto !!
Dunque, ricapitolando: mi sembra più che bello creare, un'esperienza piacevolmente sottile lasciare, un sogno sorridente lasciar trovare...e per chi trova ?
Ho impiegato dei minuti a rispondere, e la risposta è "non lo so" ! Ma è importante saperlo ?

? Guerilla Art ??

La Guerilla Art (arte di guerriglia), è una forma di arte, nata probabilmente in America a partire dagli anni '70. La sua particolarità sta nell'anonimato degli autori delle opere, spesso collocate in luoghi pubblici, anche clandestinamente, a volte con l'intento di fare una dichiarazione politica esplicita.
La Guerilla Art è spesso nel corso degli anni stata utilizzata come metodo di protesta verso la società, il consumismo, le celebrità;  una delle sue forme più popolari consiste nella modifica dei cartelloni pubblicitari, spesso allo scopo di creare un messaggio assurdo o ironico, nella creazione di graffiti, nella collocazione nell'ambiente di adesivi, stencils, manifesti artistici. Negli anni '80 si concretizzo' come reazione a quella che si avvertiva essere la presa di possesso dello spazio pubblico da parte di interessi commerciali e all'accorgersi della banalità di molte opere d'arte pubbliche autorizzate, nonchè alla frequente mancanza di occasioni di mostre autorizzate per gli artisti.
Oggi questa forma di arte, in stretto collegamento con l'ambiente, permette a chiunque ne abbia il desiderio di lasciare un messaggio, da leggere e trattenere, come una riflessione, oppure da gettare.
E' un'arte usa e getta, o meglio, un'arte impermanente, perchè così è la vita.